La cresta del Pescofalcone fino all'Amaro


Quando si inizia a pensare e soprattutto programmare una escursione sulla Maiella lo si fa sempre con una certa soggezione, riverenza, nel cospetto della montagna, verso se stessi e soprattutto verso i compagni che dovrebbero seguirti. I dislivelli, da qualsiasi parte li attacchi, sono sempre considerevoli, sopra le medie, e tenendo costante questa dimensione verticale sai che ti dovrai cimentare in una arrampicata pressoché verticale verso il cielo o in una lunghissima marcia di avvicinamento. Tra i tanti progetti che mi frullavano in testa il più antico era quello che Mr. Spit aveva per tanto tempo sostenuto senza mai riuscire a farlo divenire realtà; la salita da San Nicolao per la cresta del Rapina e Pesco Falcone fino all’Amaro. Speravo fosse anche un modo per stanarlo dal suo ormai troppo lungo “letargo” , ehm, assenza da Aria Sottile. Due mesi fa lanciai la proposta, diviso tra la speranza di poter tornare su questo gruppo montuoso e finalmente sul M.Amaro e tra il timore di non trovare compagni di camminata. Sottovalutai evidentemente il fascino che questo tetto degli Appennini ha sui montanari; a Guado Sant’Antonio sui 1250 metri di dislivello, poco sopra Caramanico, alle sette precise di una splendida giornata che si preannunciava costantemente assolata ci siamo ritrovati in tredici. A farci gli onori di casa Tommaso, Sguardoaovest per la storia, che finalmente dopo tanto parlarci sul forum avevamo modo di conoscere. Goliardia e preparativi lenti hanno contraddistinto i primi momenti, evidentemente tutti quanti preferivano non pensare a quanto lunga e dura sarebbe stata la giornata che avevamo davanti. I tratti iniziali del sentiero erboso dominavano le forre ed i profondi canyon scavati dal fiume Orfento, lontano le moli delle montagne del Gran Sasso. Prendiamo a salire, su un marcato sentiero “scavato” tra l’erba alta dei prati e l’insistente rumoreggiare dei grilli; dopo un paio di svolte il Morrone si stende davanti a noi in tutta la sua possente mole, l’ampia valle che sale al Passo San Leonardo sembra essere uno sfondo di un quadro rinascimentale, il verde è intenso, brillante. Sul lungo pendio che sale al Rifugio Barrasso il gruppo, in ordinata fila indiana, si divide in due, il primo ignaro del piccolo dramma che si sta consumando nelle retrovie. Si arriva al rifugio dopo quarantacinque minuti di agile salita, le retrovie arrivano una decina di minuti dopo, lenti e stranamente demotivati. Tutti apprendiamo le difficoltà che sta incontrando Mauro, si aggrappa alla volontà di cui è saturo per raggiungere il rifugio, è stranamente ed inaspettatamente colto da forti dolori ad una gamba che non si riesce a spiegare. Sostiamo al rifugio Barraso un tempo lungo ed ingiustificato, tutti speriamo che una sosta ed il riposo possa far recuperare la forma a Mauro. Nessuno, lui per primo, ci crede davvero ed il morale del gruppo scende inevitabilmente. Si discute su da farsi, Luca decide di riprendere Mauro e tornare insieme a Roma ma lo stesso Mauro si oppone con decisione, quasi al limite dell’arrabbiatura. Si sarebbe fermato ed avrebbe aspettato il ritorno di tutti. Non c’erano altre scelte. Si riparte con aria dimessa, in ordine sparso sull’estenuante lungo prato del Fondo della Corte che sale al Rapina; passiamo a destra del piccolo bosco al di sopra del rifugio. La rinuncia di Mauro aveva fiaccato il morale, il resto lo stava facendo l’estenuante e monotona salita che ognuno affrontava per conto proprio, sopportando in solitudine la fatica, le motivazioni che in quel momento forse stavano venendo meno. Il Fondo della Corte sembrava non avere mai fine; un’ora estenuante, noiosa ed affannosa prima di affacciarsi sul pianoro a 1900 metri con il Rapina ormai a vista. Davanti, finalmente un ampio orizzonte, ora non più limitato dalle infinite salite erbose ma aperto verso le prime importanti vette della Maiella, un prato che verso est sale lento al Rapina. Lentamente ci raggruppiamo, i primi aspettano chi scegliendo traiettorie più dolci è rimasto indietro, si bivacca approfittando dello stupendo panorama che ci viene offerto da questo punto cosi’ panoramico. Da est o sud le vette della Maiella mostrano ormai i loro ripidi pendii, il Pesco Falcone è davanti a noi, altissimo ancora, ma non spaventa. Solo Ronaldo, instancabile ed in gran spolvero è ancora in marcia, è solo un piccolo puntino sul pendio che sale al Rapina. Rifocillati e rincuorati nello spirito per aver lasciato dietro l’estenuante paginone del Fondo della Corte riprendiamo la marcia sul falso piano; senza sforzo in una mezz’oretta raggiungiamo l’anonima vetta del Rapina. Un gran bel punto di osservazione sul Morrone, su tutta la cresta che dal Blockhouse sale lenta al Focalone; dominata letteralmente, quasi assediata da fitta boscaglia di pini mughi. Proprio questi impediscono di continuare in cresta direttamente verso il Pesco Falcone. Torniamo un po’ indietro fino ad un evidente ometto di pietra e su un marcato sentiero scendiamo di pochi metri dentro la valle, una cinquantina di metri sotto la vetta del Rapina. Un sentiero a metà naturale, a metà “costruito” dall’uomo abbattendo qualche pino particolarmente invadente permette di penetrare nel bosco senza cruenti “corpo a corpo” con gli alberi. Si perde quota, si ha l’impressione di andarsi a ficcare all’interno del ripido vallone che si va incastrando tra il Rotondo ed il Pesco Falcone ma è l’unico modo per aggirare il bosco; esclusa ogni possibilità di errore, il sentiero è pressoché una trincea tra i profumati aghi dei pini. Proprio in questo tratto, sentiamo un richiamo da lontano, sulle pendici erbose del Rapina stava salendo il nostro incommensurabile Mauro. Sollevato da un antidolorifico e pieno dalla voglia di esserci ha ripreso a salire da solo ed ora eccolo la che ardeva dal desiderio di ricongiungersi a noi. Ci siamo fermati in uno spiazzo ad aspettarlo, è stata festa! Interrotta però dal ritiro di Stefano, stanco ed in preda a i crampi. Ci attenderà al rifugio. Dopo un lungo percorso orizzontale senza grandi dislivelli il sentiero sbuca in un tratto scoperto, erboso e ripido che punta direttamente delle belle formazioni rocciose in cresta. Per sentiero dei paletti in legno conficcati a terra contraddistinti da una linea gialla, i più ormai abbattuti e sdraiati a terra, quasi invisibili all’occhio dell’escursionista. Le linee di salita sono però evidenti e scontate. Saliamo allo scoperto per poi rientrare per un breve tratto di nuovo nel bosco. L’uscita e l’affaccio sottostante sono di quelli mozzafiato. Su una cresta rocciosa a strapiombo per una quarantina di metri sul pendio boscoso sottostante si apre la più bella vista sul Morrone e sulla valle che sale a Passo San Leonardo. Non ci facciamo mancare una delle più classiche foto di gruppo. Sopra di noi ormai solo la cresta ampia che ci condurrà al Pesco Falcone. Da lì inizia la vera Maiella in quota che tutti conosciamo. Un deserto di pietre, di acciottolato, di schegge affilate; sembra di camminare sul vetro. Il sentiero non è più marcato, deboli tracce lasciate dai passaggi che si sono perpetrate negli anni consigliano pendenze più abbordabili ma ognuno sale come vuole. Il percorso è costellato da calchi fossili; conchiglie, coralli, forme incomprensibili che testimoniano l’origine marina di questi colossi montuosi. Il contrasto solito esplode dentro le nostre fievoli razionalità! Il mare è laggiù, non molto lontano, un tempo, millenni e millenni fa era esattamente qui dove ora siamo, solo che queste pietre che stavamo calpestando erano qualche migliaio di metri più in basso. Mi rassegno alla potenza incomprensibile della natura, quel pezzetto di calco di corallo che raccolgo è il sigillo alla mio umano limite. Contrasto potente che mi fa sentire piccolo piccolo e nello stesso tempo fortunato spettatore della forza della natura. Salendo la cresta si fa sottile, a tratti più esposta, gli affacci più strepitosi. Si intravede la croce della quasi vetta del Pesco Falcone, lontane verso est sono ormai un disturbo le tante antenne del Blockhouse , la poco evidente sagoma boschiva del Cavallo ed il Focalone che sale ripido a conquistare gli altopiani della Maiella. Ma ormai ci siamo, la meta la sentiamo vicina, in fila ed in silenzio aggrediamo gli ultimi tratti di cresta. Quando la pendenza si attenua ed in lontananza si fa bello il rosso bivacco Pelino capiamo di essere giunti alla nostra seconda meta. La più classica delle vette della Maiella, un pallone tondo tondo, pietroso, anonimo. Una prima croce commemorativa e a soli cinque minuti la stele di vetta. Ore 11 e 40 siamo ai 2657 metri del Pesco Falcone; è grande festa di nuovo. Un secondo lungo bivacco e riprendiamo verso la cima della Maiella; non prima di aver salutato Giorgio. Una grande generosità lo spinge a tornare indietro, a recuperare il suo amico per fare un rapido rientro a Roma. Giorgio l’Amaro lo aveva toccato già diverse volte ma questa volta lo avrebbe fatto insieme con Simone. Grande cruccio deve essere stata la rinuncia, come grande è stato il saluto sul Pesco Falcone tra padre e figlio. Gesti che gratificano ed impreziosiscono la giornata e la montagna. Scendiamo fin sotto il Tre Portoni, tagliamo il pendio, lasciando la vetta al ritorno, su un residuo di nevaio ancora duro a morire; inizia la lenta salita all’Amaro. Lontano, già in prossimità della rossa sfera del rifugio sta già arrivando Ronaldo, di corsa pure. Impressiona la sua forma fisica. E’ su questo tratto sotto l’Amaro che Mauro risente i fastidi muscolari e rallenta. Temiamo per lui. Alla spicciolata comunque arriviamo, tra un mare di pietre infinito, sulla cima agognata da molti di noi. Sono con Luca, Alessandro ed Elena quando prima la stele, poi la croce ed in fine il bivacco si manifestano scoprendosi dalle dolci rotondità di vetta. Sono le 13 meno 10 quando riesco a coronare il mio sogno. Anche se in preda ad un fastidioso mal di testa insorgente sono felice. E lo sono ancora di più venti minuti dopo. Lo sono tutti, è un terzo momento di gran festa. Mauro, stoico e tosto come un vero montanaro ci raggiunge. Si commuove dell’accoglienza. Ha vinto tutto, se stesso, la giornata che lo ha messo alla prova in uno dei dislivelli più difficili quando non si sta bene nel fisico, la paura del lungo ritorno. La sosta a ridosso del Pelino ce la prendiamo tutta. Un po’ per riposarci dalla lunga salita, un po’ per goderci il grandioso panorama della Maiella. Il versante sud è sotto di noi, una grande valle composta da due dorsali dove le svariate cime si perdono nelle tante forme arrotondate fino a perdersi nell’orizzonte; ad est domina la bella vetta rocciosa del Sant’Angelo e dietro la rotonda mole dell’Acquaviva. E’ bello essere lassù con tanti amici, ne incontriamo altri. Un punto così isolato ed improbabile eppure così densamente popolato! Ed il bivacco si conclude in gloria quando Tommaso ci sorprende tirando fuori un termos con tanto di bicchierini per il caffè finale. Ci ha preso alla lettera quando gli abbiamo chiesto di farci gli onori di casa! Incredibile Tommaso!! Il sole è implacabile ma è mitigato dalla presenza di un vento fresco che ci costringe al riparo del bivacco. Siamo lenti a ripartire, segno che la salita non è proprio stata una semplice passeggiata, lentamente ci ricomponiamo; ci concediamo qualche momento per le foto di gruppo in prossimità della croce e poi alla spicciolata riprendiamo il viaggio. La mia proposta di passare per il Rotondo al ritorno che pensavo venisse accolta da pochi di noi è stata invece accettata da tutti. Tutti tranne Tommaso che ha preferito aspettarci sull’Acquaviva. Devo ammettere che la deviazione ci ha portato via tempo e risorse ma ci ha anche permesso di chiudere il capitolo Maiella per quanto riguarda questo versante. Il passaggio per il Tre Portoni è di strada e quasi non ce ne accorgiamo; il dibattito se deve essere considerata una montagna da inserire nella lista dei 2000 è aperto. La discesa da questo verso la sella del Rotondo è stato invece il tratto più impegnativo. Nulla di che ma qualche passaggio mani e piedi lo abbiamo dovuto fare. Sulla sella si è in bilico tra due valli, quella a sud ampia e morbida, tra il Sant’Angelo e l’Amaro ancora con discreta presenza di neve, quella a Nord più stretta si inabissa verso le forre boscose dell’Orfento. Spettacoli di una natura selvaggia ed aspra ma immensi e potenti. La salita al Rotondo è graduale per chi decide di aggirarlo, più repentina invece per chi ha ancora molte scorte di energie e decide di attaccarlo direttamente sulla cresta principale. La sosta in cima è stata breve, pressati come eravamo dal tempo che rimaneva a disposizione. Un gran peccato perché forse non sbaglio se dico che è uno dei panorami più belli dell’intera Maiella. Solo dalla vetta si ha la percezione che il Rotondo e la sua cresta nord si infilino come una lama degradante dentro il parco delle gole dell’Orfento; la cresta dal Blockhouse al Focalone è vicinissima anche se comincia ad essere dominata dalle prime nubi. Luca studia il percorso pianificando già il giro che feci con Mr. Spit due anni fa. Insomma, il Rotondo è stato poco più di una toccata e fuga. I primi, Alessandro ed Elena, sono già di ritorno; lentamente altri riprendono il ritorno. Ci spetta la secca salita al Tre Portoni, quella monotona e ora fastidiosa al Pesco Falcone e poi una lunga , lunghissima discesa verso la base. Il gruppo si divide come sempre in questi casi. Chi ha terminato l’adrenalina e non vede l’ora di riprendere la via di casa, chi invece in preda alla stanchezza è più guardingo e lento, insomma nel giro di pochi istanti siamo sparpagliati tra la sella sotto il Tre Portoni e la cima dell’Acquaviva. Non troviamo il modo di ricongiungerci, ci riusciamo solo prima di riprendere la discesa del Fondo Della Corte. A parte la stanchezza l’unica difficoltà della discesa è il non mancare l’imbocco del sentiero nel bosco in prossimità del Rapina. Scendendo l’imbocco è poco visibile e molto conta il ricordare i passi dell’andata. Comunque in un modo o in un altro, tra un leggero malumore che inspiegabilmente si stava propagando dopo una trionfante giornata come quella che si andava concludendo, tra chi aveva fretta ed accelerava e chi combattendo con la propria stanchezza si adattava al meglio che poteva, tutti ci siamo ritrovati a Guado Sant’Antonio alle 19 meno qualche minuto. Dopo 12 ore dalla partenza! Forse la consapevolezza che la fatica era ormai alle spalle, che si stava per riprendere la via di casa, o forse la felicità di avercela fatta che comunque e sempre è un bel premio, il buon’umore ritorna a farla da padrone. Un giro di saluti, qualcuno si avvia, altri si danno appuntamento in basso per una gratificante e meritata bevuta. La giornata volge al termine. Sulla via del ritorno, in qualche tornante delle tortuose stradine abruzzesi alla conquista del casello autostradale, da lontano, si aprono i panorami sull’Amaro e sulla cresta appena percorsa, sono immensi e devastanti. Ci sorprendiamo di aver osato così tanto. Un grazie a tutti per esserci stati; in particolare a Mauro che ci ha dimostrato quanto significhi e sia importante la sola volontà di volerci essere e di volercela fare, a Giorgio che ci ha ricordato l’importanza dell’amicizia, per lo stesso motivo a Luca e (ancora) Mauro per i desideri di venirsi incontro in quel momento di difficoltà nei primi istanti di salita e di difficoltà per Mauro ed infine ad Elena che una volta per tutte ha messo da parte tutte le vecchie storie sul sesso debole. Sei stata fantastica ed hai tenuto testa alla pari ad un esercito di uomini motivati. Ed ora permettetemi un po’ di retorica ma ci sta. Nonostante tutte le diversità caratteriali, le diverse motivazioni da cui ognuno di noi è spinto, quando ci ritroviamo sotto la bandiera di Aria Sottile sento forte una grande spirito di condivisione ed amicizia. Coltiviamolo ragazzi che andare in montagna insieme è bello!